Alba de Cespedes – Quaderno proibito

Alba de Cespedes è sicuramente una delle maggiori penne della letteratura italiana del Novecento. Autrice di numerosi romanzi raccolti in un volume de I Meridiani Mondadori a cura di Marina Zancan, ebbe un buon successo editoriale che però è andato diminuendo col tempo fino a condannarla ad un immeritato oblio tra i più. Il problema che la riguarda è di natura economica: i diritti per ristampare le sue opere sono ancora di Mondadori che dal canto suo non fa nulla perché probabilmente prevede poche vendite, ma i prezzi per cedere i diritti di pubblicazione sono troppo alti per piccoli editori che potrebbero essere interessati. Il risultato di questo labirinto editoriale è che trovare i libri di de Cespedes è difficilissimo.

Tra i suoi romanzi più significativi trova posto certamente Quaderno proibito (1952)  storia e memoria di una donna, Valeria Cossati, che trova nella scrittura l’unico modo per prendere consapevolezza di sé. I temi trattati sono molteplici, ridurlo a puro romanzo di denuncia sulla condizione femminile sarebbe ingiusto e scorretto. Come la stessa de Cespedes volle precisare in un’intervista, lei non scrive per le donne e non scrive solo di donne: in questo romanzo ciò è lampante.

L’ambientazione principale è sicuramente la casa, luogo e prigione di Valeria ma non solo: nessuno dei personaggi è soddisfatto della propria vita e, sebbene la protagonista lavori, la casa è l’emblema della prigionia tanto che in un momento di riflessione Valeria dirà che lei come individuo non esiste più, lei è mamma, tesoro, amore, figlia, ma Valeria? Questo è esattamente il fulcro della vicenda: la ricerca di un’identità che la famiglia ha appiattito a puro ruolo sociale.

Il problema tuttavia non riguarda solo la protagonista: il marito non riesce a provvedere ai bisogni della famiglia come la società si aspetterebbe dal “capo famiglia” e questo genera in lui non poso dolore. La figlia di Valeria d’altro canto è la vera donna libera che decide con chi avere una relazione e cosa fare della sua vita aldilà di quello che gli altri si aspettano da lei. Figura marginale ma allo stesso tempo nodale per la narrazione è invece il figlio maschio di Valeria, intorno alla cui storia si giostrerà il finale di Quaderno proibito.

Ma perché, volendo fare un passo indietro, il quaderno è proibito? Il dilemma viene sciolto all’inizio del romanzo: Valeria in un tabaccaio dovrebbe acquistare sigarette per suo marito, ma ad un tratto vede un quaderno nel quale riesce a vedere la sua via di fuga. Il problema è che di domenica l’acquisto del quaderno sarebbe vietato: da qui il titolo “Quaderno proibito”. Ovviamente non si può ignorare il fatto che la proibizione

riguarda, per traslazione, anche l’azione che Valeria compie con quell’oggetto. All’interno del romanzo infatti lei dovrà sempre trovare dei momenti e dei posti segreti per scrivere, in modo che nessuno possa vederla o peggio ancora leggere i suoi scritti.

Valeria è emblematica di una società rigida nei ruoli in cui i suoi attori sentono il peso degli stessi. Nonostante i tentativi si renderà presto conto che, compreso chi si è, spesso questo non è sufficiente a salvare la propria vita.

Una delle caratteristiche che a chi scrive sembra opportuno sottolineare è il linguaggio utilizzato da de Cespedes: piano, quasi colloquiale, ma tremendamente aderente alla situazione. In un mondo in cui non c’è più posto per la lirica, sarebbe impensabile utilizzare un linguaggio troppo alto. Le vite dei personaggi non sono speciali, non sono eroi o esseri speciali, sono persone comuni come tante altre, simili a tante altre imprigionate nelle stesse gerarchie.

Quaderno proibito fa riflettere su chi si è e su quanto a volte il destino degli individui può essere crudele, su quanto la famiglia a volte possa essere una gabbia dorata senza via di fuga e su quanto le donne, come gli uomini, vengono penalizzate dalle suddette costrizioni familiari. Non è un romanzo spensierato, ma è sicuramente un’opera importante scritta da un’autrice importante che dovrebbe essere riscoperta.

Si parlerà ancora di Alba de Cespedes. Per il prossimo scorcio sulla letteratura vi do appuntamento alla prossima settimana.

Ludovico Ariosto, Vita e opere

28qzuv8Biografia

Nato a Reggio Emilia l’8 Settembre 1474 da una famiglia nobile, opererà durante
la sua vita nell’ ambiente della corte vivendo la sua condizione sempre con un velo
di polemica. Il padre Niccolò lavorava presso i Duchi d’ Este e proprio per questo
insieme a suo figlio si stabilì nel 1484 a Ferrara; qui strinse amicizia con Pietro
Bembo, uno dei più grandi intellettuali dell’epoca, da cui fu grandemente
influenzato. La sua grande passione fu da sempre la letteratura, argomento che
approfondì con il consenso di suo padre tra il 1495 e il 1500.
Nel 1500 suo padre morì, così dovette iniziare ad occuparsi dei suoi fratelli e 
sorelle più piccoli, essendo il primo di dieci: iniziò così ad accettare cariche dagli 
Estensi, in particolare nel 1503 andando al servizio di Ippolito, figlio di Ercole I.
Ariosto, come detto in precedenza, non era entusiasta di questa vita poiché
riteneva che lo ostacolasse nell’ ambito dei suoi studi letterari.
Per poter aumentare le sue entrare divenne chierico prendendo gli ordini minori, a causa
dei quali nel 1515 non avrebbe potuto sposare la donna che amava, Alessandra
Banucci Strozzi, rimasta in quegli anni vedova. La situazione familiare di Ariosto
era poi complicata da Gabriele, uno dei suoi fratelli gravemente malato. Ludovico
riuscì a far sposare tutte le sue sorelle in breve tempo, riuscendo a fronteggiare la
situazione con grande abilità.
L’inizio del ‘500 non era un periodo facile, e per le ostilità nate tra Alfonso I
nuovo duca d’Este e Papa Giulio II, frequentò molto Roma. Tali ostilità nascevano
dall’ alleanza degli estensi con i francesi durante la Guerra della Lega santa. Per
questo motivo nel 1512 insieme ad Alfonso dovette fuggire sugli appennini
incalzati da Giulio II.
Ariosto, sperando di poter aumentare la sua condizione sociale, in seguito cercò
di avvicinarsi alla famiglia de’ Medici, in particolare a Giovanni, sperando di poter
passare dalla corte ferrarese, di certo non centrale, all’ ambiente romano (nel 1513 Giovanni divenne papa col nome di Leone X). Le sue aspettative andarono deluse e decise di rimanere a Ferrara.
Tra il 1507 e il 1515 viaggia molto per le corti della penisola: Mantova, Venezia,
Urbino, Roma, Firenze, Bologna, Modena.
Nel 1516 pubblicò la prima delle edizioni dell’ Orlando Furioso dedicando al
cardinale Ippolito, che non apprezzò come da attese. L’anno seguente sarebbe
dovuto partire al fianco del cardinale alla volta dell’Ungheria, ma Ariosto, animo
profondamente abitudinario e riottoso ai cambiamenti e agli spostamenti, rifiutò
passando al servizio del duca Alfonso. Da lui ottenne l’arduo compito di
governatore della turbolenta regione della Garfagnana, che svolse con sorprendente
abilità politica. Nel 1527 sposa in segreto la Banucci con la quale continuerà a
non poter convivere per i suoi ordini minori.
Nel 1532 accompagnò Alfonso a Mantova da Carlo V, ma al suo ritorno si
ammalò e l’anno successivo morì il 6 luglio all’ età di 58 anni.
Ludovico Ariosto giace oggi presso Palazzo Paradiso, a Ferrara.

OPERE

1494-1503  “Liriche Latine”  mai pubblicate come opera compiuta
1493-1527 “Liriche volgari” pubblicate postume nel 1546
1508  “La Cassaria”
1509 “I Supposti”e inizio elaborazione de “Il Negromante”
1515  Prima edizione dell’”Orlando furioso”
1517-1525 “Le Satire”
1521 Seconda edizione dell’”Orlando Furioso”
1528 “La Lena”
1529 Seconda redazione de “Il Negromante”
1531 Terza edizione dell’”Orlando Furioso”

Si può dire “a me mi”? Settimana dell’italiano nel mondo

testo

Salute a tutti lettori! Oggi per la settimana della lingua italiana nel mondo ho deciso di trattare una questione apparentemente certa, ma che in realtà risulta essere piuttosto spinosa: “A me mi” si può dire”?

Fin dai primi anni di vita la prima cosa che ci viene detta è che la forma “a me mi” è sbagliata. Questo concetto viene ribadito alle elementari e talvolta anche alle medie. Sarebbe tutto eccezionale se solo fosse effettivamente vero. Vado a spiegare la situazione:

Le grammatiche italiane scolastiche riportano questa forma come assolutamente scorretta, addirittura vietata; ciò che non viene riportato è la vera motivazione per la quale avverrebbe questo divieto, la ragione di questo è che non esiste. L’unica rintracciabile è che Pietro Bembo, grammatico e pietra miliare dellalingua italiana, nel 1525 pubblicando le “Prose della volgar lingua”scrive che è una forma che non lo aggrada. Grammaticamente potrebbe tranquillamente essere detto, e a riprova di ciò abbiamo tutte le lingue neolatine (francese, romeno, spagnolo…) in cui questa forma viene usata.

La formula più utilizzata per giustificare questo divieto è: “A me mi è ridondanza perché dire a me e dire mi è la stessa cosa”. Ma è veramente ripetizione? A ben guardare non lo sarebbe in quanto il primo a me non ha lo stesso valore del secondo pronome: vale “per quanto mi riguarda”, “per quanto ne so” che non è sottintendibile con la particella mi.

Questa forma tra l’altro viene usata anche numerose volte da Manzoni ne “I promessi sposi” anche con la variazione A noi […], ci

Per concludere la forma continua ad essere vietata e quindi non deve essere usata in situazioni formali, tuttavia bisogna tenere presente che nel parlato è una formula che può essere effettivamente utilizzata.

Alla prossima e AHLOA